Il
suo suo piede sfiorava lentamente il margine della sedia,
disegnandolo, accarezzandolo quasi si fosse trattato di un animale a
cui dedicare le proprie attenzioni.
Lentamente,
per un verso e per l’altro, potendone sentire l’angolo appuntito
sotto la pianta nuda e sensibile, percependo i piccoli e sotterranei
brividi che quel contatto le provocava. Poteva sentire qualcosa,
poteva ancora sentire qualcosa. Per ora. Ma ben presto tutto sarebbe
finito.
Spesso
si dice che sia necessario osservare le cose da un’altra
prospettiva per poterle comprendere e in effetti la cosa stava
funzionando anche per lei. L’unica differenza era che lei aveva già
capito ciò che era necessario capire e il vedere la stanza da
quell’altezza non poteva che rendere i suoi pensieri ancora più
chiari di quanto non fossero stati quando aveva preso quella
decisione.
La
paura, per quanto lei si illudesse di essere in grado di tenerla a
bada, strisciava ancora in lei, infida, attendendo solo in momento in
cui avesse potuto prenderla alla sprovvista. Se solo avesse abbassato
la guardia, il terrore l’avrebbe trovata priva di difese,
seducendola con le sue tremende e così allettanti parole,
assalendola alla gola.
Ne
poteva sentire la morsa, costante, minacciosa eppur portatrice di
così tante liete promesse. Il pizzichio che sentiva sul collo per
colpa della spessa corda era quasi il riflesso del bruciore che le
proveniva da dentro, quel nodo fastidioso paragonabile a tanti
piccoli spilli che la pungevano senza sosta.
Che
la pungevano nella gola.
Negli
occhi.
Nel
cuore.
Ma
non era tanto dolore quello che stava provando quanto piuttosto senso
di colpa e vergogna per quello che stava per fare, per quello che le
era sembrata la cosa migliore da fare.
La
cosa più logica. La più giusta.
L’unica
cosa che le era rimanasta da fare.
Per
quanto si fosse sempre professata contro quel gesto estremo, sapeva
che al mondo non le era rimasto più nulla per cui valesse la pena
lottare. Aveva perso tutto. La propria dignità, la felicità, la
speranza di poter avere qualcosa dalla vita e di essere qualcosa di
più dell’inutile mediocrità quale era.
Ma
la cosa peggiore non era aver perso tutto ma esser stata una
delusione per tutti quelli che aveva di più cari. Aveva visto il
loro sguardo disgustato mentre la guardavo, quel loro nemmeno tentare
di nasconderlo, sbattendoglielo in faccia ogni volta che la vedevano.
E
lei che aveva credito di rappresentare qualcosa per loro, qualcosa
per la quale provassero affetto. Qualcosa alla quale volevano bene.
Ma
per quanto lei avesse tentato di farsi apprezzare, nulla era mai
stato abbastanza, nulla gli aveva fatto comprendere quanto lei
tenesse a loro e alla loro approvazione. Nulla di quello che aveva
fatto era stato in grado di mutare il loro sguardo in qualcosa di
vagamente simile all’affetto. L’unico sentimento che i loro
sguardi e erano stati in grado di riflettere era stato l'orrore e il
disgusto. E l'indifferenza, che forse era la peggiore tra tutte.
Forse nemmeno se ne erano resi conto ma da tempo avevano cominciato a
trattarla come una cosa, non più come una persona. Come qualcosa
inutile e in grado di non far nulla e leggendolo sempre nei loro
occhi, sentendosi continuamente accusata dai loro gesti e dai loro
silenzi ne era stata travolta.
A
volte questo l'aveva colpita in maniera più forte, facendolesi
rendere conto di come loro la vedeva e del modo in cui la
consideravano, facendola scattare perchè non in grado di stare
zitta. Si era arrabbiata, aveva alzato la voce e si era spinta troppo
oltre, dicendo cose che non avrebbe avuto intenzione di dire e
ricevendo di contro parole che avrebbe sperato mai nessuno avesse
potuto pensare. Dopo questi litigi era sempre finita con lo star
male, rinchiudendosi in sè stessa, lasciandosi logorare dal dolore e
dalla disperazione.
Quella
stessa disperazione che ora le annebbiava la vista, riversandosi in
quelle lacrime che nate dal profondo del suo cuore scivolavano
silenziose sulle sue guance, quasi in una muta anticipazione di
quello che stava per fare. Ma la cosa triste e che, dovette
ammetterlo, aveva una qualche vena ironica, era il fatto che sapeva
che sarebbe stata l’unica a piangere la sua perdita.
Nessun
altro ne avrebbe sofferto e proprio per questo doveva farlo.
Andarsene avrebbe significato rendere le cose più semplici a tutti
gli altri.
E
magari senza di lei sarebbero finalmente potuti essere felici. Lei
non avrebbe più interferito con loro, la loro esistenza sarebbe
proseguita lieta e la cosa che così tanto li disgustava sarebbe
svanita via da loro, quasi non fosse mai esistita.
Per
quanto si sentisse dilaniata nel profondo per quello che stava per
fare, per quanto piccoli brividi di paura le scorressero lungo il
corpo, implorandola di ripensarci, aggrappandosi a lei con le unghie
e lacerandola dall’interno, gli angoli della sua bocca non poterono
che sollevarsi leggermente alla prospettiva di potersi rendere
finalmente utile, forse per la prima volta nella sua vita.
Era
l’unica cosa che le era rimasta da fare per fargli capire quanto
fosse grande l’amore che provava per loro. Rinunciare alla propria
vita per fare in modo che la loro potesse essere sempre felice e
perfetta.
Per
una volta, forse, non li avrebbe delusi.
Non
doveva più combattere per essere qualcuno che non era, non doveva
più combattere per poter essere accettata e amata.
Doveva
solo lasciarsi andare.
E
fu proprio ciò che fece.
I
suoi piedi scivolarono sulla superficie lignea, abbandonandola,
convinti di precipitare al suolo, forse illusi dai salti e dalle
corse precedenti. Ogni volta che che avevano abbandonato il
pavimento, la strada o qualsiasi altra superficie, erano sempre
tornati indietro, riprendendo il loro posto nel mondo. Andando
avanti, proseguendo senza mai arrendersi.
Ma
questa volta era differente. Non avrebbe mai più toccato il suolo.
Non sarebbe scomparsa o corsa via; sarebbe solo rimasta sospesa,
forse per un attimo o forse per sempre, catturata da quella corda che
lei stessa aveva affrancato e aveva annodato affinchè reggesse al
peso del suo corpo.
La
fune cominciò immediatamente a stringersi, serrandosi attorno alla
sua gola, in un mortale abbraccio senza via d’uscita. Un dolore
lancinante nacque sul suo collo, i muscoli si contrassero
all’esagerazione, tentando di opporre resistenza a quella sempre
maggior stretta mentre l’adrenalina proruppe in lei, gettandola in
panico.
L’istinto
di sopravvivenza tentò di prendere il sopravvento, senza perder
tempo a tentar di farla inutilmente ragionare ma guidando
immediatamente il suo corpo. Le mani scattarono rapidamente alla
fine, afferrandola, tentando di allentarla. Le unghie vi si
conficcavano all’interno, scivolando e saettando sul suo collo,
aggiungendo bruciore alla sensazione di soffocamento sempre più
forte. Una serie continua di scariche era partita dalla
sua gola, dal bruciore ora sostituito dalla sensazione di vuoto e dal
lancinante dolore. Il respiro era affannato, faticoso. Il cuore
batteva all’impazzata, minacciando di fracassarle la gabbia
toracica per andarsi a salvare dall’imminente fine, La testa le
doleva, prendendo a girare vorticosamente e la vista aveva cominciato
ad annebbiarsi mentre lei annaspava, scalciando con tutti le sue
forze spinta dal desiderio di voler sopravvivere.
Un
dolore lancinante le trapassò un polpaccio mentre il tonfo sordo
della sedia sulla quale fino a poco prima era in piedi si propagò
attraverso la stanza, rieccheggiando e coprendo per un istante i suoi
rantoli disperati, destinati rapidamente a spegnersi così come pure
i suoi battiti, ora via via sempre più deboli.
Per
quanto tentasse disperatamente di prendere ossigeno, di riempirsi i
polmoni e tornare a respirare, la corda le impediva ogni possibilità
di riprendersi. I muscoli del suo corpo erano testi e tremanti nel
loro ultimo tentativo di salvarla, attraversati da un dolore privo di
conforto ma che attendevano con ansia il sopraggiungere di una cura.
Ma
vi era solo un’unica cura possibile per lei, l’unica che avrebbe
risposto alle sue preghiere e che le tese tendendole una mano,
risucchiando da lei ogni rimasuglio di energia rimasta.
Le
braccia le scivolarono lungo i fianchi mentre le gambe calmavano la
loro lotta, sfinite e non più in grado di opporsi ad un destino che
l’aveva prosciugata delle proprie forze. Un velo opaco calò sui
suoi occhi, oscurandole la vista di quel mondo dal quale era stata
così tanto odiata e disprezzata e a cui ora stava dando il proprio
definitivo addio.
Addio
al mondo.
Addio
alla vita.
La
fine della sua esistenza.
L’inizio
dell’altrui felicità.
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